Il nostro primo itinerario sulla rotta della “Regione
Dolomiti” inizia non a caso con una conversazione a più voci sul tema cruciale
del “Terzo Statuto di Autonomia”.
La ragione di fondo è che il cuore di una nuova fase della
nostra vicenda autonomistica, dopo il riconoscimento della specialità (primo
statuto) e l’esercizio di un’autonomia pressoché integrale (secondo statuto),
dovrebbe essere incardinato sul progetto di un’Europa federale fondata su nuove
realtà regionali.
In altre parole, una devoluzione di poteri verso l’alto e
verso il basso da parte di Stati-nazione ormai obsoleti e fuori scala, una
dimensione sovranazionale in grado di sostenere ed interagire con i flussi
globali ed una diffusa capacità di autogoverno responsabile dei territori.
In questa chiave interpretativa il “Terzo Statuto” travalica
i confini della nostra specialità ed investe in pieno tanto il confronto sul
tema del rilancio del disegno europeo, quanto il percorso della formazione
delle cosiddette macroregioni che sin qui tendono ad immaginarsi più come nuove
forme statuali che come opportunità relazionali oltre gli Stati.
Ecco perché questo confronto non può rinchiudersi nei nostri
confini regionali: ne abbiamo bisogno per ridisegnare l’Europa e ne abbiamo
bisogno se vogliamo che le nostre stesse autonomie possano misurarsi su ambiti
gestionali nei quali la dimensione qualitativa non è affatto estranea a quella
quantitativa. Così da diventare – nel corso del nostro viaggio – un proficuo
terreno di dialogo in provincia di Belluno come nell’alto Friuli. Per niente
estraneo, per altro, alla stagione referendaria che interesserà il Veneto e la
Lombardia (elezioni anticipate permettendo) nel prossimo mese di ottobre in
ordine alle loro prerogative di autogoverno.
Dobbiamo per la verità prendere atto che l’avvio del
confronto, in Trentino come in Alto Adige – Süd Tirol, ha risentito della crisi
della politica (in senso lato) nella fatica ad immaginare scenari nuovi. Così
se in Alto Adige – Süd Tirol il dibattito è stato condizionato da un confronto
rivolto al passato (il diritto all’autodeterminazione) che risente di un
conflitto non ancora diffusamente elaborato e che pesa sul presente/futuro, in
Trentino il confronto è sembrato prevalentemente metodologico ed avulso dalla
realtà.
Perché del Terzo Statuto ha senso parlarne solo a fronte del
maturo superamento della fase precedente, in assenza del quale rischia di
essere un azzardo intempestivo e per certi versi anche pericoloso. Non è un
caso che voci autorevoli che pure in passato avevano posto l’esigenza di questa
nuova fase, a fronte della crisi del progetto europeo e del vento
neocentralistico che spira in Italia (ma anche dello sfarinarsi dei tratti
salienti dell’anomalia trentina), abbiano per così dire azionato il freno a
mano.
Ciò nonostante crediamo sarebbe un errore. Il tema del Terzo
Statuto va posto invece proprio come risposta al vento contrario e allo
smarrirsi dei luoghi che hanno dato corpo all’autonomia, pur sapendo che il suo
approdo richiederà una gestazione di lungo periodo. Un esercizio che sfida la
politica nella sua degenerazione pragmatico/emergenziale, per riflettere
sull’appannamento dell’autonomia e per immaginare nuovi scenari.