Si ragiona per singoli comparti. Manca la dimensione utopica | Incontro con Alberto Winterle
N 46° 4′ 15.738” E 11° 7′ 29.298” – Trento, via del Suffragio
*Dove? – studio weber+winterle architetti, Trento
*Chi e cosa? – Alberto Winterle è professionista e, prima, persona di grande sensibilità. Abbiamo avuto il piacere di conoscerlo attraverso alcuni suoi interventi e riflessioni (da Presidente dell’Ordine degli Architetti e non), per sue attività (di progettazione o di approfondimento, come il prezioso Turris Babel – rivista della fondazione Architettura Alto Adige – o il lavoro condotto con l’associazione Architetti Arco Alpino) e per una generale attenzione ai temi delle trasformazioni urbanistiche in città.
Ci si era incontrati un po’ di tempo fa a parlare di città e territori, provando a interrogarsi su quali fossero i punti di rottura tra i due contesti e quali invece i punti di riconnessione, di messa a sistema delle differenze in nome di una migliore interdipendenza, obbligata ma per nulla scontata. Così veniva introdotto quel dibattito, e lo stato dell’arte non sembra cambiato in maniera radicale: “L’equivoco sta nella contrapposizione tra città (intesa come spazio urbano) e territori, cioè tutto quello che ne sta all’esterno. La sfida tra tra le diverse dimensioni urbane – e rispettivi abitanti –, seppur con caratteristiche diverse rispetto al passato, è ancora viva. Partendo da un’ipotesi – quasi antropologica – di separatezza si tende spesso a non prendere in considerazione i necessari punti di contatto tra i due mondi e a descriverli come impermeabili tra loro. Un errore imperdonabile, oltre che una mancanza di comprensione del contesto nel quale si agisce. Può una città fare a meno di prendere in considerazione, ragionando del proprio futuro, lo spazio che la circonda? Possiamo – all’interno di un mondo sempre più interdipendendente – non ragionare sulle connessioni virtuose tra i nostri locali, forse più comprensibili e conosciuti, centro e periferia?”
Alcuni dei temi che il testo che presentammo in quell’occasione (eccolo: Città e territori, un necessario spazio comune di riflessione) rimangono ancora sul terreno e sono riproposti nella chiacchierata che si è svolta presso lo studio weber+winterle architetti. Come connettere centro e periferia del territorio trentino, la città (Trento e Rovereto, nient’altro) e le diverse montagne di questa provincia? Come mettere a sistema l’innovazione dentro scenari di lungo periodo (argomento caro anche a Thomas Miorin)? Come intercettare le qualità dei professionisti – in questo caso gli architetti e gli urbanisti – facendo sì che anche loro si sentano protagonisti delle sfide della città, sfuggendo dalla solitudine che spesso li attanaglia? Come accompagnare il cambiamento, che in ogni campo si percepisce come necessario, producendo processi partecipativi capaci di generare attivazione e partecipazione diffusa? Come farlo nelle specifiche questioni legate al prossimo Piano Regolatore Generale della città di Trento, in via di realizzazione, non senza critiche?
Non solo annotazioni tecniche utili per tecnici, ma una riflessione che sappia coinvolgere tutti i protagonisti della vita cittadina, dalla classe politica all’abitante (al limite dell’esclusione) di un quartiere periferico, dall’Università e i centri di ricerca fino agli attori economici di prossimità. “Non solo un atto d’accusa al ruolo dei progettisti e dei pianificatori urbani, ma una più generale analisi di un modo “altro” di guardare all’evoluzione delle città. Predominanza della dimensione sociale rispetto a quella economica, ricerca dell’uguaglianza e non esclusivamente del profitto, valorizzazione delle unicità per contrastare l’omologazione, rifiuto della semplificazione in nome di un rinnovato bisogno di complessità. Un invito a riscoprire la città per come la descrive Lewis Mumford: “Un esperimento umano del convivere tra mercato, artigianato e arte, in una dialettica di prossimità e passaggi, lungo percorsi, spazi, in una relazione continua tra persone e oggetti costruiti: muri, facciate, dislivelli, altezze, ponti e passerelle.”
*Appunti.
Le solitudini sono molte, ognuno chiuso in quattro mura relative al nostro lavoro, dove si cercano coerenze di tipo normativo, senza porsi le domande di fondo.
Delirio delle procedure, dominio delle burocrazie.
Il contributo di intelligenze e professionalità, fuori da questo recinto, non è richiesto, tanto meno pianificato.
La PAT ha fatto scuola, ma in negativo.
Ricerca sul senso dell’abitare, su come è cambiato il significato di abitare? Zero.
Anche l’ITEA, scarso interesse rispetto a questi argomenti.
Frustrazione nell’assistere ad occasioni sprecate.
Si ragiona per singoli comparti. Manca la dimensione utopica. Non si sa fare sistema.
L’ultimo disegno sembrano essere state le Comunità di Valle (nda poi cancellate). Poi il pantano…
La politica non cerca idee, ma sostegno.
Ora tutti avvertono un’esigenza di cambiamento
(se nella fase espansiva c’era posto per tutti, ora la crisi richiede di cambiare…).
Ma la crisi di sguardo c’è anche nelle categorie e negli ordini professionali.
Eppure in territori come i nostri ci sono potenzialità e possibilità di fornire un contributo di qualità, ma poi – in assenza di un disegno politico – si finisce con esercizi di stile privi di sbocchi (cfr certificazione LEED, per distinguersi dal Sud Tirolo)
Assenza di un disegno anche sulla città di Trento, dentro la discussione – che pure aprirebbe scenari – del nuovo PRG.