Dopo Vaia. Un reportage de «La Nuova Ecologia» sul nostro ultimo itinerario
A sei mesi dal ciclone che il 29 ottobre ha investito le foreste dolomitiche e carniche, sradicando 14 milioni di alberi, “La Nuova Ecologia” è tornata sulle Alpi orientali. Per raccontare gli effetti del clima che cambia, anche in montagna. E capire se ci stiamo attrezzando per il futuro. Un reportage di Fabio Dessì pubblicato sull’ultimo numero del mensile di Legambiente “La Nuova Ecologia” dedicato al decimo itinerario “Esiti del cambiamento climatico” del “Viaggio nella solitudine della politica”.
di Fabio Dessì
La tempesta Vaia. Appunti di viaggio.
di Diego Cason*
Fare il punto sugli effetti della tempesta Vaia non è compito semplice ma è indispensabile una riflessione su questo evento straordinario mai avvenuto prima sulle Alpi orientali e, in particolare, nel territorio dolomitico. La prima considerazione da fare riguarda il significato di evento straordinario. Esso si inserisce, in modo anomalo, in una serie di eventi catastrofici di dimensione locale che normalmente si ripetono sulle Dolomiti come in tutte le altre aree alpine quando vi sono precipitazioni (piovose e nevose) rilevanti. Per questo motivo è necessario ribadire che il territorio montano è pericoloso ed esposto regolarmente ad eventi che producono danni ambientali e ai manufatti delle comunità. La tempesta Vaia si è sviluppata tra il 27 ottobre e il 2 novembre 2018 ha interessato un’area che va da Baltico al Mediterraneo. È stato il 29 ottobre che il vortice depressionario, rinforzato da venti di scirocco e libeccio ha raggiunto la sua massima intensità. Gli effetti sui boschi si sono concentrati nell’area che va dalla provincia di Sondrio alla provincia di Udine ma ha colpito anche aree circoscritte nelle Alpi marittime e a nord del Lago Maggiore. Le intese precipitazioni, superiori a quelle registrate nell’ultima alluvione del 1966, unite alla forza dei venti, hanno prodotto gravi danni agli edifici, alla viabilità, alle reti tecnologiche e alle opere idrauliche su quasi tutti i corsi d’acqua in particolare nel bellunese, in Trentino e in provincia di Udine. Limitandoci a valutare i danni sul patrimonio boschivo essi riguardano 41.491 ha in 473 comuni e hanno prodotto circa 8,7 milioni di metri cubi di legname schiantato, per un valore di circa 440 milioni di euro. La provincia che ha assorbito il danno assoluto maggiore è il Trentino con 18.300 ha devastanti e con 3,3 milioni di m3 di legname schiantato, segue il Veneto con 12.114 ha e 2,5 milioni di m3, l’85% dei quali in provincia di Belluno.
Natura che ignora i confini e si ribella alle prepotenze umane
di Micaela Bertoldi
Alberi con i piedi per aria
tronchi schiantati,
riversi
su pendii privati di chiome
alopecia di monti feriti.
Mortificato,
lo sguardo sorvola
i cimiteri tristi dove natura
giace sconfitta.
Alberi e sogni sono caduti.
Smarriti e soli. Silenti.
Di sconfitte e sogni, abbiamo parlato nel decimo itinerario del “Viaggio nella solitudine della politica”, incontrando persone addolorate per gli eventi catastrofici che si sono riversati sui territori Dolomitici e delle Alpi Carniche lo scorso 29 ottobre: un nuovo limes che la ribellione della natura ci sottopone attraverso il lamento della montagna e di chi ci vive.
Sindaci e amministratori locali, rappresentanti delle Proprietà collettive e delle Comunità di Regola, lo Scario della Magnifica Comunità di Fiemme, i responsabili dei servizi forestali provinciali, regionali, demaniali delle province di Belluno, di Udine e di Trento, rappresentanti di associazioni ambientaliste o cooperative che operano nel settore legno: in ogni incontro abbiamo parlato con cittadini preoccupati non solo per come si affronta il presente – con le opere di primo rimedio ai guasti franosi, con la pulizia di ettari di bosco devastati, con il ripristino della viabilità – ma anche e soprattutto sugli scenari oltre l’emergenza che investono il tema cruciale della montagna.
Esiti del cambiamento climatico Nelle Alpi devastate dagli eventi atmosferici
Ciò che è accaduto nella notte fra il 29 e il 30 ottobre del 2018 nelle foreste dolomitiche e carniche rappresenta un avvenimento tanto inedito quanto inquietante che ci porta a considerare come gli esiti dei cambiamenti climatici siano da considerare nel nostro presente. Ne ho parlato nel mio blog nella riflessione dal titolo “La ribellione della natura” e riprendendo il prezioso reportage di Giampaolo Visetti “La terre guasta”.
Malgrado l’evidenza degli avvenimenti che investono il pianeta sotto ogni latitudine e rispetto ai quali nessuno può chiamarsene fuori, tanto la dimensione pubblica (le scelte dei governi in primo luogo) quanto quella privata (i nostri stili di vita) non sembrano portare ad alcun significativo ripensamento.
La ribellione della natura
di Michele Nardelli
Il vero e il falso, il reale e virtuale. Come discernere, se persino i messaggi che ci manda la natura vengono osservati con lo scetticismo per cui solo ciò che si tocca con mano e ci riguarda personalmente è degno di attenzione?
Durante la mia recente visita in provincia di Benevento, una persona incontrata mi chiede se le immagini della devastazione dei boschi mandate dai media siano vere o non invece il solito modo di ingigantire gli eventi per catturare l’attenzione.
So bene quanto la logica del “proprio giardino” pervada l’atteggiamento dei più e di come sia facile girare altrove il proprio sguardo di fronte a quel che non si vuole vedere, costruendosi un proprio racconto rassicurante ed assolvente. Come so bene che la conoscenza è dolore, meglio dunque convincersi che si tratta di un accidente e non porsi troppe domande.
E malgrado la domanda sia posta con sincera preoccupazione rimango basito nel pensare come la devastazione a due passi da noi (ma nell’interdipendenza tutto è a due passi) possa finire nel tritacarne massmediatico fra incredulità e volatilità di notizie delle quali a breve scomparirà ogni traccia.
Ne siamo tutti vittime, sia chiaro. Ho visto anche recentemente alcuni borghi medievali che in seguito a terremoti sono stati abbandonati da decenni e dei quali si è persa la memoria. Cui corrispondono popolazioni che ancora vivono in alloggi “di fortuna”, incattivite da quel che la vita ha loro riservato. Tutto ormai entra nella categoria dell’emergenza. Ovvero la straordinarietà, l’accidente… come se tutto dipendesse dal caso, compresa l’evacuazione a causa di una perdita nel sistema idrico ed un ritorno sempre rimandato.