Nel settembre scorso si è svolto un nuovo capitolo del “Viaggio nella solitudine della politica” che aveva come titolo “Dal Meriggio alla Mezzanotte”. Un viaggio ispirato al pensiero di Albert Camus, al quale avevamo reso omaggio lo scorso anno proprio a conclusione del precedente itinerario.
Avrei voluto scriverne a caldo, ma fra una cosa e l’altra non è stato possibile. In compenso le immagini e le sensazioni si sono sedimentate, così come il senso di questo nostro viaggiare. Lo spazio e il tempo per aiutarci a comprendere come cambia il mondo e come cambiano i nostri occhi.
Per stare al mondo in maniera curiosa e responsabile.
§§§
di Michele Nardelli
«Quale miglior paragone alla speciale intelligenza di questo popolo, del tremolar della marina? Badate: i Greci sono colonizzatori. Sempre stati. Ma colonizzano le spiagge: in Asia minore, in Italia, a Marsiglia. Non s’inoltrano. Sanno che a perder di vista il mare, si perde il tremolar della marina: si perde l’intelligenza”»
In terra di Spagna: paesaggi fisici ed umani. Attese, solitudini, perdite personali e storiche. Condivisioni. Questi i lineamenti del viaggio.
Un viaggio affrontato con stati d’animo diversi da parte dei vari viaggiatori, ciascuno dotato di personale bagaglio, di vita vissuta e di attese.
di Micaela Bertoldi
al-Andalus. Il ritorno
Al-Andalus: che mondo è mai questo?
Fine di epoche, di sogni e di eroi,
fine di amori perduti
strappati dalla risacca del tempo
Nostalgia di un passato
di ciò che è stato e non c’è più
di chi c’è stato e non è più…
… questo mi dice a Cordoba
la splendida moschea,
questo ripete la fiera Granada
con le sue vie in salita
con la volta stellata
dei più antichi bagni arabi
questo evoca la voce di Garcia Lorca
dalla sua casa natale e
altrettanto riecheggia nella fenditura
di roccia dell’orrido naturale a Ronda
dove bocche di leone color lillà
s’aggrappano con forza: per resistere.
Se ‘il Nord è uno stato d’animo’
secondo Enzo dal gentile sorriso
penetrare nel Sud di terre spagnole
in memoria di tempi tramontati
rilancia l’impulso a dare fiato
ad altri stati d’animo:
trovando la forza di coloro
che rifiutano di attardarsi
nel dolore e nel rimpianto
di epoche d’oro perdute
di patrie rubate, di esili forzati.
Un io sofferente, denso di solitudine,
può far soffiare nuove correnti
per i mulini a vento di Don Chisciotte:
così che
…
eccoli, sono loro: Chisciotte e Sancho
l’uno e l’altro insieme
forti di secoli di Storia
in grado di affrontare vere battaglie
sapendo che la prima di tutte
ha a che fare con la empatia umana
necessaria dote per il futuro del mondo.
Paesaggi
Innanzitutto la constatazione che il caldo, evocato sic et simpliciter dal nome della penisola meta del viaggio, non si è fatto trovare. Lo stereotipo è stato subito sbugiardato da una pioggia a dirotto che ha inseguito il pulmino partito da Trento per almeno cinquecento chilometri di guida, fino all’arrivo a Siviglia. Acqua torrenziale, cieli plumbei e gravidi, che nei giorni successivi hanno pure dispensato chicchi di grandine e sventate (mentre ci trovavamo per il pranzo sotto un misero riparo offerto dalle tende da sole del Mirador).
La stagione prescelta in ogni caso ha regalato distese verdi punteggiate da castelli e fortificazioni sui rilievi, segni di storia plurisecolare: quella storia che andavamo ad incontrare.
A proposito delle quali i nostri sguardi ammirati hanno fatto i conti con l’intelligente spunto critico di Enzo, esperto di coltivazioni agricole, di preservazione dei coltivi e di cura dell’ambiente: «non basta soffermarsi sulle splendide geometrie ritagliate dalle mani dell’uomo, sui corridoi di terra rossiccia, per lo più, anche se qua e là, di colori diversi, fino al quasi bianco, sull’ordine assicurato tra i filari di viti, o di aranceti o, soprattutto, nelle estese ‘foreste’ di ulivi. Ciò che sembra una benedizione per la vista, è un danno per la terra impoverita di elementi naturali e infarcita di diserbanti».
Le annotazioni di Enzo, proposte con tono dimesso, offerte alle nostre menti, hanno aperto il terreno ad altre osservazioni. Si sono unite altre voci, quella di Flavio, argomentando in merito.
Nel proseguo le fatiche della guida che esigevano totale concentrazione, hanno messo in funzione uno scambio tra Michele, Claudio e nei giorni successivi anche Enzo, in modo che si mescolassero un po’ i ruoli. Certo, si è resa evidente una specie di corsa alle indicazioni di percorso, con navigatori in azione, tom tom gracchianti con la voce “della signorina” (meglio sempre una voce femminile, consideravano i guidatori) anche se poi all’arrivo nei centri urbani, proiettati alla ricerca degli hotel prenotati, la stanchezza dei chilometri sulle spalle e i lavori in corso che dirottavano i navigatori quasi impazziti, dovevano ridare il primato alla capacità umana di orientamento, magari anche con le appropriate domande ai passanti. Ai miei occhi, una specie di riconferma delle limitazioni della tecnologia che, pur utile, rischia di lasciare in panne.
In ogni caso ad affiancare il ricorso ai mezzi informatici, sia per il tragitto viabilistico, sia per la documentazione di approfondimento, possiamo contare su una biblioteca viaggiante: guide turistiche e libri che insieme a noi attraversano paesi, città, ampie distese di boschi o coltivate, catene di monti. In parallelo alla autostrada su cui l’auto corre, sfilano ambientazioni diverse, ciascuna unica nella propria bellezza.
Attraversamenti
La Mancha. Ampia, disegnata con immensi riquadri coltivati, qua e là piccole case o ripari per attrezzi, pioppi a recintare dei casali, e terre rosse, gialle o scure puntellate di ciuffi verdi senza più le macchie di ginestra fiorita viste in Catalogna. Coltivazioni estensive, ordinate in filari, senza erbe in mezzo.
Poi si va verso Ciudad Real e la zaffata di pioggia sembra essere rimasta indietro. Invidio il verde dello spazio vitale che appare in mezzo alle arature: sarà perché il terreno a cui devo abituarmi è ancora da dissodare, imbevuto di lacrime per la perdita patita …
I vigneti che sembrano correre ai lati dell’autostrada, visti dal finestrino, sembrano infiniti: la Spagna è il paese con la maggiore produzione vitata, pur non essendo il primo per quantità di prodotto.
Una pausa, poi torna la pioggia, Si arriva nei pressi di Albacete, capitale economica della Mancha, per le coltivazioni di zafferano. Toledo è la capitale storica e attuale.
Ascoltiamo la lettura di passi del libro Principi poeti e visir di Maria Rosa Menocal e mi prende un desiderio di telefonare e raccontare ciò che sto vedendo, ascoltando… accorgendomi che un ostacolo si è frapposto e tocco con mano ciò che delinea il confine del non più possibile.
Mentre il panorama si movimenta a mano a mano che maciniamo chilometri, meglio fare il punto sulla Storia della regione meta del viaggio.
Storia
Una Storia riassunta a distanza di mille anni e più.
-711: gli Omayyadi al potere a Damasco, allora capitale dell’Islam, estendono il loro dominio nella penisola iberica;
-750: gli Abbasidi a Damasco rovesciano gli Omayyadi (di lì a poco la capitale verrà trasferita da Damasco a Baghdad). Abd-al Rahman, unico superstite della famiglia omayyade, riesce a fuggire verso il nord Africa e il lontano Occidente;
-756: Abd al Rahman, favorito dal suo essere discendente della famiglia del Profeta ma anche figlio di mamma berbera, prende il potere a Cordoba, diventando il nuovo governatore della provincia più occidentale del mondo islamico, portando con sé il patrimonio culturale della civiltà arabo-mussulmana e proseguendo quel movimento delle traduzioni avviato a Damasco un secolo prima e che troverà nuovo impulso a Baghdad;
-929: Abd al Rahman III viene proclamato nelle moschee andaluse Difensore della Fede. Cordoba diventa il nuovo centro dell’universo mediterraneo e islamico. La biblioteca del califfo di Cordoba dispone di quattrocentomila volumi (il catalogo erta di 44 volumi e conteneva recensioni di seicentomila libri!);
-1000: Cordoba, “ornamento del mondo”, diviene la più grande città dell’Europa medievale;
-1009: inizio di guerre civili fra fazioni musulmane in al Andalus;
-1031: scioglimento del Califfato di Cordoba. Formazione delle città stato, 60 taife. Nella taifa di Granada diventa visir il primo “Nagid” capo della comunità ebraica, Samuele ibn Nagrila.
Nel Nord della Spagna le città sono controllate dai cristiani. Si susseguono conflitti armati tra cristiani, arabi musulmani per la rivalità tra le città in ascesa. Risalta la figura di el Cid, il Signore, condottiero di ventura (Rodrigo Diaz);
-La realtà presenta musulmani, ebrei arabizzati, cristiani arabizzati chiamati ‘mozarabi’: una comunità distinta dal resto dei cristiani dell’Occidente latino. C’è commistione di lingue, religioni, stili di vita. Nel corso del XII e XIII Secolo c’è forte interazione fra cultura andalusa e il resto d’Europa;
-1072: incontro fra cristiani normanni e musulmani della Sicilia: Palermo è espugnata.
-1085: Alfonso VI di Castiglia prende la taifa di Toledo. Forte scontro con i musulmani di Siviglia di al Mutamid, il quale chiama in soccorso i fondamentalisti del Marocco: gli Almoravidi i quali nel 1086 sconfiggono Alfonso IV. I presunti “protettori” venuti dal Marocco rimarranno in al-Andalus come nuovi tiranni;
-1095: Crociata per togliere la Terra Santa agli “Infedeli”; frattanto in tutta Europa dispute inter- religiose, ribellione delle lingue indigene contro il latino: si va verso Dante, Cervantes, Shakespeare;
-1109: a Cordoba tumulti contro gli Almoravidi: inizia una fase di fuga dei dhimmi, ebrei e cristiani. Un regime berbero musulmano, ancora più repressivo, in Nord Africa rovescia gli Almoravidi e tiene al-Andalus come colonia;
-1198-1216: Papa Innocenzo III promuove la Crociata contro gli Albigesi – eretici puritani di Albi – e ne deriva la distruzione delle corti Provenzali che avevano sviluppato la rinascita secolare della cultura sull’onda degli scambi con al-Andalus: canzoni d’amore, trovatori, ecc.
-1212: con l’aiuto esterno di gente venuta dal Nord (come già accaduto nel 1086, con gente armata chiamata a supporto delle fazioni in lotta), avviene la re-conquista di Tolosa da parte cristiana e i musulmani battono in ritirata. Altre città cristiane cadono una dopo l’altra;
-1215: imposizione agli ebrei di indossare segni distintivi esteriori;
-1236: Cordoba cade;
-1238: cade Valencia;
-1248: capitola anche Siviglia, conquistata da Ferdinando III di Castiglia. Il figlio, Alfonso il Saggio, trasforma la grande Moschea di Siviglia in cattedrale cristiana e all’interno edifica la tomba per il padre, dove compaiono le iscrizioni in quattro lingue: arabo, ebraico, latino e castigliano.
L’epoca successiva è molto complessa: dalla Siviglia di Ferdinando III nel 1248, alla Granada di Ferdinando V nel 1492, si snoda un periodo di progressiva trasformazione e frammentazione. Con Ferdinando III era stato concesso a Granada di rimanere l’ultima entità politica islamica, al comando di Ibn Almar. I Nasridi rimasero per duecentocinquanta anni i custodi del ricordo di al-Andalus, testimoniato dall’Alhambra;
-1492: il 2 gennaio Maometto XI, Boadil, l’ultimo dei Nasridi, consegna le chiavi della reggia di famiglia alla regina Isabella di Castiglia e al marito, Ferdinando d’Aragona;
-1492: il 31 marzo viene firmato da Isabella e Ferdinando il decreto dell’Alhambra che prevede l’espulsione degli ebrei dalla Spagna;
-1492: il 2 agosto il decreto dell’Alhambra diviene esecutivo;
-1492: il 3 agosto partono da Palos, a valle di Siviglia, le tre caravelle che porteranno Cristoforo Colombo alla conquista delle Americhe.
I vari snodi di questa epopea, brillante e dolorosa insieme, li abbiamo digeriti a poco a poco, nei tragitti sul pulmino e in soste di pensiero ritagliate qua e là nelle giornate.
Arabesque
Siviglia, Alcazar, merletti, arabeschi e giardini, magnolie alte e possenti, archi a ferro di cavallo, porte di legno intarsiate, blu e rosso degli sfondi di volte decorate, pareti trasformate in giochi di azuleios: colori, forme, foglie, rami e pavoni pascolanti tra la gente. Geometrie spirituali.
Ecco un mondo di bellezza, arte di mani antiche, artigiani di mondi lontani, fontane zampillanti con l’acqua di cisterna raccolta per essere inviata in mille rivoli che corrono in piscine, vasche, fontane. Primizia di culture antiche, il culto dell’igiene e della dignità umana,
Ali Rashid ce ne parla, con la commozione legittima di chi ne è erede e al contempo figlio esiliato dalla terra di origine, a cui vuole tornare un giorno, per esservi almeno sepolto. Nostalgia. Saudade di mondi altri che non ci sono più, rimpianti che si intrufolano amplificati da questo essere in terra andalusa. Siviglia, con i suoi grandi stadi e le partite di calcio appassionanti, con il Mirador oggetto di architettura modernissima da cui gettare lo sguardo sull’intera città. E sotto una piazza animata, con tavolini all’aperto che attendono per una sosta per un caffè e un gelato, un pomeriggio da non dimenticare.
Cordoba, la bomboniera, splendente nella luce perfetta che penetra nelle strette vie fiancheggiate da case bianche. La Moschea dalle ottocento colonne – 19 file in un senso, e 30 in un altro. Al centro la chiesa cattolica inserita a posteriori, ridondante, arrogante: un nucleo cupo, deciso a incutere il timor di Dio. Il bosco di colonne si aggira intorno a me – o sono forse io che giro intorno? – e nel ritrarre le infilate di archi e capitelli, ritaglio dei dettagli, l’incrocio di linee che si intersecano, nel gioco di bianchi e rossi delle strisce. Cordoba, città imperiale, con le sue strade acciottolate, con i patios discreti e fioriti. Cordoba, col suo Guadalquivir. Oh, gran rio, gran rey de Andalucia, de arenas nobles, ya que no doradas!” Cordoba, con la sua Madinat al-Zahra, resti archeologici di un passato rimosso. Cordoba, con Al-Rousafa, divenuto il ‘castello dei re cristiani’, eredi dei magnifici giardini. Cordoba, con quel ponte di pietra e la torre in fondo, da cui non posso allontanarmi senza portare un ultimo saluto al fiume, innamorata delle nuvole e dei voli di uccelli in aria.
Granada. Raggiunta dopo aver attraversato una campagna rigogliosa a perdita d’occhio, protetta a sinistra da una sierra alta e poi dolce, ben distinguibile sullo sfondo ad ornare filari e filari di ulivi. Unica coltivazione, per lo più, anche se la terra che chiede rigenerazione, vorrebbe che non ci fosse solo posto per un tipo di coltura. Qua e là rovine di castelli arabi, poi chiazze di querce, un bosco verde scuro che rompe la monotonia argentata degli ulivi. In breve eccoci a Granada, la Rossa. L’Alhambra, magnifica residenza realizzata dai Nasridi, rappresenta il culmine dell’abilità di mani umane, opera d’arte raffinata fino all’eccesso, elegante, minuziosa, eccellente. A fianco il palazzo di Carlo V, possente. Sembra sfidare il palazzo arabo che l’ha preceduto: ma nella sfida, risulta perdente. E poi è il tempo della visita al Mirador, rincorsi dalla pioggia battente, per le passeggiate nelle strade del quartiere di Albaycin, presso i bagni arabi, e in visita alla casa di Aisha, la ripudiata. Quindi è ancora tempo di parole lette durante le pause riflessive. È qui che trovano suono le parole del libro di Francesco, che evocano gli ultimi califfi di Granada, ma anche la vicenda delle persecuzioni verso gli ebrei, con la storia del Simonino di Trento e le falsificazioni della realtà, le accuse inventate, le torture, le espulsioni degli ebrei dalla Spagna.
E poi c’è Ronda, con il suo immenso orrido, dove provo a scendere, il castello del Rey Moro, i giardini, la città vecchia e l’arena de toros, vista proprio dall’alto dell’albergo.
Quindi Cadice con la escursione alla Riserva naturale di Donona, itinerario fluviale sul battello San Cristobal, e infine Sagunto, città assediata da Hannibal nel 219 a. C., il condottiero di Cartagine che diede il via alla seconda guerra punica.
In tutti questi luoghi il rumore delle armi ha fatto da sfondo sonoro nei diversi secoli, cancellando intere stagioni, imperi e governanti romani o cartaginesi, arabi musulmani, cristiani o ebrei, normanni o vandali, castigliani ed emissari papali. Per non dire dei secoli seguenti, dove i deboli e gli oppositori pagarono con la vita combattendo per la giustizia, per la libertà e per il lavoro. L’eco di quei problemi sociali risuona, mentre siamo qui, sulle pagine dei giornali: “El primo de Mayo de la incertitudine” per via della “mala salud lavoral”.
Cavalleria al tramonto e utopia: antica quaestio.
Il rimando alle questioni sociali ancora e sempre sul tappeto, fa riemergere il nostro acuto senso utopico: un bisogno di lotte in grado di far muovere le cose in senso diverso da quanto accade. I nodi sociali, la giustizia, i bisogni delle persone esigono empatia ed anche impegno. Politico ed umano insieme.
Le battaglie di Don Chisciotte contro i mulini a vento sono richiamate costantemente alla mente dalla vista di tante pale eoliche che si stagliano lungo i crinali dei rilievi collinari e montuosi.
Nella borsa – biblioteca campeggia l’opera di Miguel de Cervantes, affiancata peraltro ai volumi delle Mille e una notte (per me stessa edizione, Einaudi, appassionate letture in vari periodi del passato). Eh sì, Cervantes. Il grande combattente, nella vita e con la scrittura, essa stessa diventata strumento per la sopravvivenza quando la sfortuna sembrava aver vinto.
Non posso omettere quindi alcuni cenni sulla cavalleria e sulla vita avventurosa e sfortunata di Miguel de Cervantes. Tra parentesi, giunge a proposito una annotazione di due viaggiatori burloni: alcune foto in cui è ritratto Mauro, lo fanno adatto a impersonare il grande scrittore. Anche se lui insiste: ‘io sono un lettore!”
Cavalleria. Tema che ha riempito poemi, intrattenuto cortigiani, ha prodotto duelli, figurati e non solo. «Alla fine del XV secolo la Cavalleria come istituzione, che si fregiava del nobile scopo di difendere i poveri, le vedove e i più deboli (istituzione invero esistita solo nei romanzi) era ormai caduta in discredito.» […] Stava ormai «entrando in crisi, sostituita da nuove tecniche militari, le armature degli ‘uomini d’arme’ avevano raggiunto il massimo di perfezione e anche di bellezza artistica. Esse alla fine del XV secolo e agli inizi del XVI ricoprivano ormai tutto il corpo del cavaliere e vi erano anche bardature armate per i cavalli.» Ma le battaglie veramente combattute «avevano spostato l’iniziativa militare sulla fanteria e sulle nuove armi da getto. Svizzeri, lanzichenecchi e fanti spagnoli, la nuova fanteria del tempo, adoperavano un’armatura essenziale, fatta di corpetti e di piccoli elmi senza visiera, e rifiutavano gli scudi, ritenuti inutili e ingombranti». [Francesco Prezzi, Trento nelle guerre d’Europa e d’Italia nella seconda metà del XV secolo. Temi, 2012]
La cavalleria divenuta più mobile con l’introduzione dei cavalli leggeri, vedeva la presenza anche di uomini non nobili per stirpe. Il sistema di conduzione della guerra era cambiato. Le considerazioni sui sistemi d’arma, sull’uso degli schioppetti hanno a che fare con le nuove tecnologie introdotte sul finire del secolo quindicesimo, rivoluzionando aspetti e azioni del passato, così come i viaggi per mare e le scoperte di nuovi continenti attraverso le esplorazioni avevano allargato gli orizzonti e le brame di dominio.
Nuovi imperi stavano per nascere. In questo quadro il Mediterraneo si era rivelato una specie di palestra in cui esercitare le prove di forza: lo scontro con i mondi musulmani e con l’Oriente si sarebbe ripresentato anche nei secoli successivi.
Lo stesso Miguel de Cervantes, fuggito dalla Spagna a seguito del ferimento in duello di un certo Antonio de Segura; si era diretto in Italia prima come cortigiano (a Roma, Firenze, Milano, Palermo, Venezia, Parma e Ferrara) e in seguito come soldato. La sua esperienza militare era culminata nella partecipazione alla battaglia di Lepanto (1571) in cui venne ferito al petto e alla mano sinistra, perdendone l’uso. Ciò nonostante, l’anno seguente aveva combattuto a Navarrino, a Tunisi e alla Goletta. Nel 1575, si era imbarcato a Napoli su una nave che venne intercettata da corsari turchi presso il delta del Rodano: così era stato venduto come schiavo ad Algeri dove, nonostante tentativi di fuga, era rimasto cinque anni. Nel 1580 era finalmente stato riscattato. Tornato in patria, aveva sperato di ricevere degli onori, aveva invece affrontato solo ristrettezze economiche. Diventato esattore delle imposte in Andalusia, a Siviglia era entrato in contatto con mondi della malavita e così era finito nuovamente in carcere. All’uscita ad attenderlo c’erano altri colpi avversi della fortuna.
Fu proprio in carcere, a quanto pare, che nell’anno 1602, venne formulata la vicenda del cavaliere idealista e sfortunato. La morte colse De Cervantes nell’aprile 1616 senza che avesse mai goduto di serenità e successo. «Nessun uomo ha avuto dalla vita così poco e le ha dato tanto»: questo è il giudizio di Vittorio Bodini, curatore e traduttore del magistrale romanzo “Don Chisciotte della Mancia” [Don Chisciotte de la Mancia. Introduzione all’opera, XLV-XLVII]
Mentre l’auto macina chilometri, la mente si sposta in meandri solo apparentemente distanti. Constato che è singolare che la parabola della avventurosa esistenza di Miguel de Cervantes sia stata tanto sfortunata, emblematicamente evocativa di battaglie e scontri appassionati, in cui profuse energie e speranze, simili a quelle che si possono riscontrare nella vicenda di Chisciotte e Sancho, protesi verso ipotetici ideali, buttati a terra dalla sorte avversa e dalle piccolezze umane, presentati a tutti gli effetti come pedine dentro il flusso caotico degli eventi storici. ‘A cavaliere’ fra due epoche, per dirla in modo forbito. In ogni caso appartenenti all’epopea cavalleresca delle terre andaluse, con l’epilogo finale della battaglia di Lepanto contro i saraceni, cui De Cervantes partecipò davvero.
Spunti
Passo in rassegna alcune immagini dei compagni di viaggio e mi compare Iva, con il suo interesse per Walter Benjamin e per Albert Camus. E gli altri, interessati e commossi di fronte al tragico destino dei due pensatori-scrittori, come a quello di Federico Garcia Lorca, ucciso dai fascisti: a dimostrazione di quanto il dolore per il tramonto dell’epoca aurea della cultura araba mediterranea si sia propagato, intrecciandosi con il dramma delle dittature il cui apice è stato raggiunto nel Ventesimo secolo col nazismo e con lo stalinismo.
Il peso del fallimento di ideologie che avrebbero voluto esaltare giustizia sociale e democrazia proletaria, dei popoli e dei lavoratori, si fa sentire sulle nostre spalle, essendo noi, in qualche misura perdenti della stagione d’impegno in cui avevamo investito energie.
Non per questo ci è concesso di ‘ritirarci in campagna’, attendendo chissà cosa o chissà chi: abbiamo una dose di anticorpi contro la tentazione all’anonimato, indifferente verso i drammi del mondo, proprio perché ci riferiamo a poeti, a pensatori che ci hanno introdotto nel ‘giardino della consolazione’: dove si intercettano idee, pensieri e conoscenza tramandati fin qui da secoli.
Del nostro discorrere, Michele raccoglie i vari stimoli; ne deriva una ripresa di parole così che questo viaggio si trasforma in luogo collettivo di studio e riflessione.
Mauro evidenzia la presenza di analoghe mitologie e narrazioni presenti nella letteratura araba e in quella cristiana e greca e ciò vale a destrutturare alcuni luoghi comuni. Nei ritagli di tempo va alla scoperta delle lingue ‘indigene’, specie del ‘trentin’, di cui intende divenire adepto esperto sotto la guida di Gabriella.
Alessandro torna sulla bellezza del don Chisciotte, mettendo in luce la necessità che di lui noi abbiamo a tutt’oggi. Con la sua ironia tinge di leggerezza anche la constatazione dei fallimenti, per rilanciare la responsabilità delle scelte profumate di utopia.
Raffaella compulsa depliant e mappe per segnalare luoghi da non perdere e insieme a Martina ricorda l’utilità degli approcci femminili alla conoscenza, poiché sostanzialmente ribadiscono il rispetto delle persone e dell’ambiente come fattore ineludibile.
Non può mancare la nostra storia recente che, infatti, fa capolino nello scambio fra Claudio ed Enzo a proposito delle vertenze sindacali, dei successi e dei fallimenti patiti. Flavio interagisce con ricordi legati al suo ambiente professionale, ma non trascura i richiami alla direzione da prendere quando ci si inoltra per le strade di Cordoba, fino a che, arrivati alla grande piazza rossa della Corredera, confida a qualcuno le impressioni avute anni prima in altro viaggio. Sarà per questo che a tratti gli scende un velo sul viso e si fa taciturno.
Comunque sia, non c’è rischio che qualcuno rimanga indietro o si perda, nemmeno Giuliana che di solito preferisce avere una sorta di ‘guinzaglio lungo’ tenuto dalle mani dell’amica Gabriella. La quale, effettivamente secondo annosa esperienza, raduna la comitiva, contando uno per uno come ha sempre fatto con gli alunni in gita scolastica. Sempre con il sorriso sulle labbra e il suo schietto dialetto che, in qualche misura, è diventato un lessico familiare per tutto il gruppo, romanicompresi.
In ogni caso solitamente, mentre la macchina macina distanze, quando tutti sono stanchi, scende un pacifico silenzio a cui a volte succede il canto di Sergio Endrigo o di altri, con venature di forte malinconica poesia.
Emozioni
Presso il monumento dedicato a Walter Benjamin a Portbou (prima tappa del viaggio)
Memoriale
la scala scende al mare,
ritagliata fra pareti di acciaio,
sembra indicare una via di fuga, s
barrata tuttavia da un vetro
oltre si vede la schiuma delle onde:
nuove forme di pensiero
che vanno liberate da ogni sbarramento,
perché sia possibile prendere il mare.
Un albero si staglia
contro l’acqua scossa dal vento
commuove la verticalità
profonda dei gradini.
Lunga è la strada, lento il procedere
verso l’equilibrio,
del cuore e della mente
E non si sa in cosa consista.
Ci sarà forse una scoperta
o un errore, una svista.
Poi all’improvviso
una possibile meta.
A cosa pensi, ti fu chiesto.
Penso – hai risposto ed io
sono rimasta orfana di parole.
Dagli appunti di Iva Vedovelli
Portbou
La prima tappa del nostro viaggio è a Portbou per visitare il memoriale in ricordo di Walter Benjamin, un pensatore ebreo tedesco, poliedrico e singolare, ma poco noto. Io appartengo ai molti che non lo conoscono.
Vi arriviamo nel tardo pomeriggio di giovedì 22 aprile dopo aver percorso una strada tortuosa che degrada verso il Mediterraneo attraversando bassi e ordinati vigneti.
Ci attende un vento forte e freddo che agita il mare e scompiglia i capelli. Mi aspetto di vedere una costruzione che si apre verso l’alto. Invece, a ridosso di una piccola scogliera vicino al cimitero municipale, si interra un passaggio di ferro al cui interno parte una scala che scende verso il mare. Non è un monumento che si osserva; è piuttosto un’esperienza interattiva che va pienamente vissuta. La discesa infatti non può che essere percorsa, e nello scendere ci si lascia alle spalle la penombra cupa dell’entrata per aprire la vista alla luce immensa del mare, alle onde minacciose che lo agitano e al suo orizzonte lontano e nebuloso.
Il passaggio nell’ultima parte è interrotto da una parete di vetro dalla quale si vedono gli ultimi scalini che, raggiunto il versante più esposto della scogliera, si buttano nel mare. Lì, è posta una incisione, scritta in tedesco, che recita:
«È più arduo onorare la memoria degli anonimi che non quella di persone celebri. La costruzione storica si consacra alla memoria di coloro che non hanno nome».
I pensieri e le emozioni si intrecciano in uno stato d’animo dai toni forti e contrastanti.
Lo sguardo nel posarsi sull’orizzonte incerto rievoca una dimensione sconosciuta ma di grande apertura, di infinite possibilità; al contempo, in quel luogo e in quel momento è altrettanto forte la consapevolezza che è solo lo sguardo a poter andare oltre.
Mi propongo di incontrare questo interessante pensatore da me così poco conosciuto. Inizio con il libro “Walter Benjamin” di Hannah Arendt, testo che fa parte della biblioteca itinerante preparata da Michele e che accompagna il nostro viaggio.
Momenti di conversazione e letture
Ogni città si è prestata per un conciliabolo fra noi: un giardino, seduti sul muretto di accesso all’Alhambra mentre altri visitavano la cisterna, o nei giardini presso il Palacio Dar al-Horra della sultana Aisha, madre di Boadil, o nella piazza dedicata a Sant’Anna, seduti ai tavolini per raccontare di noi, ciascuno con un rimando al nostro essere lì; oppure il giardino panoramico di Ronda, mirando la forra dall’altro lato rispetto a noi, attenti ad ascoltare la lettura di brani del libro di Maria Rosa Menocal.
Nel piccolo patio della casa natale (5/06/1898) di Federico Garcia Lorca, a Fuente Vaqueros, paesino nelle vicinanze di Granada, un pozzo evoca il dono dell’acqua per dissetare umani e piante. Lì abbiamo assistito al racconto del passato, di un mondo a noi più prossimo rispetto all’epoca dei califfi, ma sempre erede di vicende dure. E lì il respiro della poesia ha stemperato gli umori, musicalmente assediando lo spirito inquieto di oggi.
Ed era come se ci fosse un continuum tra le bellezze dei giardini omayyadi e i colori evocati da Garcia Lorca:
«Ricordo
ore sognanti della mia infanzia
sotto pergolati in ambienti tiepidi
in riva al fiume ridente
che si muove come un serpente
squamato di alghe ed iris
azzurre e bianche.
Tutta la mia illusione era la frutta
che davano gli alberi dell’orto,
le more, le uve, le mele,
così dolci, così gustose, in mattine
in cui la campagna coperta di rugiada
tesse le sue brume di pace». […]
[Garcia Lorca, Il mio segreto. Mondadori, 2002]
Con la voce del poeta si materializza in noi il bisogno di brume di pace, e di fratellanza individuale e universale.
Un gruppo vivo
E non è affatto strano che, al ritorno, dopo aver visto tante magnificenze, ascoltato tanti brani di storia, riflettuto sulla sensazione di perdita incommensurabile e sugli errori epocali non ancora davvero rielaborati dalla società europea, non è strano, ripeto, che i messaggi sul gruppo whatsapp abbiano registrato una sintonia, tutta incentrata su un aspetto:
«Qui da Roma, rientrato un giorno prima, mi trovo oggi a rispondere a chi mi chiede ‘come sei stato?’. E il pensiero non mi corre ai luoghi visti, ma alle persone, ai singoli istanti vissuti con ognuno di voi, distintamente.»
Quasi a giustificare questa espressione tanto sentita, Alessandro prosegue: «Scusate se mi dilungo ma, se ricordate quando ci siamo presentati attorno a quei tre tavolini, non vi sfuggirà che ho promesso di diventare uno scrittore.»
E Mauro agisce di rincalzo dando prova del suo apprendimento del vernacolo trentino. Invia un tenero augurio: «Fente le nane, fentele cantando, finché la popa va ‘ndormenzando».
Un augurio di buona notte che prosegue quel gioco intrapreso per ribadire il senso di vicinanza, il crearsi di una alleanza di intenti e di amicizia, bisognosa di rimandi giocosi: forse in attesa di prospettive anche di pensiero che tuttavia non prescindano dalla nostra dimensione umana singola, densa di sogni, di problemi, di dolore, di mancanze di salute, non rinunciataria ma alla ricerca di spicchi di felicità e di prospettive.
Ecco, in due semplici scorci, pare di veder farsi avanti la coppia di Don Chisciotte e Sancho Panza, entrambi illuminati dalla luce dell’utopica dimensione, illusione e speranza insieme, e resi forti dall’ancoraggio a terra della loro umanità: un invito a immaginare un futuro che permetta il rientro dall’esilio della buona politica – che aiuti a superare le perdite e la caduta di antiche idealità o di civiltà e mondi epici – senza cedere alla depressione, senza disperdere il valore delle relazioni fra persone, pur immerse nelle loro fragilità.
Per tutti noi, credo, la cosa più importante sono stati gli scambi, di parole e di emozioni, l’accendersi di dialoghi e di progetti, magari proprio di scritture future, come nel caso annunciato da Alessandro e da Ali. Sì, perché come ricorda Martina, anche lei ritiene che «la bellezza intorno sia resa più vera nelle relazioni sentite e sperimentate. Segni di un gruppo vivo.»
Confidenze
Di questo gruppo vivo, simbolicamente assurge ad emblema del viaggio la confidenza che Ali ha coraggiosamente fatto di sé, della sua tristezza araba che è emersa in tutta la portata proprio in terra andalusa: quello è stato il posto della massima espansione, del rigoglio culturale, della tolleranza religiosa, degli scambi scientifici, della alta poesia. Di quella Storia la versione ufficiale ha rimosso perfino l’esistenza: ha cercato di coprire con l’oblio circa cinquecento anni di civiltà e di convivenza tra diverse lingue e culture, per fare assurgere ad unico modello quello vincente del potere conquistato militarmente e con guerre di religione. Il resto doveva soccombere. Da qui il pianto e il rimpianto.
E la poesia commuove i cuori, così come commosso è stato il racconto dello stato d’animo, del senso di fallimento e di abbandono che una persona in esilio è condannata a vivere: perché anche il ritorno, quando possibile, nella terra natia, non è mai un ritorno, in quanto la terra vagheggiata da lontano, non è più quella lasciata, e perché il nuovo Paese non è diventato del tutto terra propria se non si riesce a valorizzare storia e realtà contemporanea di ognuna delle due, accettando l’idea della trasformazione che non vale solo per l’esiliato.
Certo, la perdita non equivale alla semplice perdita di un passato o di una persona cara: in più c’è il permanere dello sfasamento, poiché nessun luogo ti è proprio, specie se non ti è concessa una dimensione professionale, umana, un ruolo sociale.
La lezione che ne deriva è comprendere che ci si deve far carico del fatto che la sofferenza individuale è così strettamente connessa con quella storica, la quale, a sua volta, si colora delle sofferenze individuali: il personale è politico, anche per questi aspetti, assunto valido non solo per le condizioni di squilibrio di genere e/o di mancato riconoscimento delle differenze.
Ed ognuno di noi, a modo suo durante questo viaggio, aveva una sua perdita da elaborare, vuoi approfittando dello scambio di confidenza al momento giusto, vuoi nel silenzio cercato, vuoi nella lacrima nascosta.
Rispettare il dolore individuale e assumerlo come cartina di tornasole per una riflessione politica: questo, forse, l’ulteriore apprendimento in esito ai passi sulle tracce di Don Chisciotte, colui che si batteva – o sperava di farlo – per portare conforto ai cavalieri sbrindellati, più sfortunati di lui.
Per questo Ali, sorretto da don Chisciotte /Sancho, deciderà di raccogliere note e pensieri sulla propria esperienza di vita, per ricucirli in una tela narrativa che aiuti un processo di rilettura storica in diretto collegamento con un impegno pro futuro: da qui scaturirà un senso nuovo al modo di trascorrere i giorni. È già pronto un titolo: “Quando parti?” data la domanda che gli fu rivolta dai suoi stessi compagni di battaglie, che vedevano in lui un pericoloso rischio di rimessa in discussione del senso del loro agire. Ali stesso lo suggerisce, meditando su quella domanda che è bloccata in gola, come un grumo acido difficile da fare andare via.
Non più solo delusione, nostalgia, dolore, ma ri-attribuzione di senso al proprio vivere. Una re- conquista di segno positivo, finalmente! Del resto, come sentenzia don Chisciotte, «la sorte lascia sempre una porta aperta nelle disgrazie, per potervi trovare rimedio.» [Miguel Cervantes, Don Chisciotte della Mancia. Einaudi]
Certo, occorrerà anche saper sorridere di fronte alle consolazioni che il cavaliere cerca di addurre, specie quando sancisce: «Sappi, o Sancho, che un uomo non è superiore a un altro se non fa più dell’altro. Tutte queste burrasche che ci capitano son segni che presto il tempo dovrà voltare a sereno e le cose dovranno andarci bene; perché non è possibile che il male e il bene siano durevoli, e da ciò consegue che, essendo durato molto il male, il bene è ormai vicino.»
Da tempo abbiamo imparato a sottoporre a critica e al dovere del dubbio ogni logica meramente deduttiva!
Questione di stato d’animo
Se in fondo il Nord è uno stato d’animo, anche il Sud, e la passione per ciò che il Sud è stato in passato, il dolore per ciò che è diventato, sono questione di stato d’animo: che può virare di segno, trasformarsi in modo che lo si possa sintonizzare con le ragioni della mente.
Si tratta di innovare le ragioni del cuore in modo che possano ricomprendere una dimensione universale in cui ogni punto della superficie abbia una sua valenza, diventi cardinale, appunto, orientativo dei percorsi di vita di quanti risiedono in un dato territorio o di quanti migrano seguendo flussi di necessità o piacere: il diritto ad essere punti, plurivalenti, proiettabili in ogni direzione per tracciare linee di collegamento e di contatto fra mondi.
Si tratta di ingaggiare una grande sfida nei confronti dell’infelicità, araba ma non solo. Occorre forse anche mettere sotto il microscopio le affermazioni circa «l’assurdità del vivere e l’ingiustizia universale» denunciate da Albert Camus, per evitare che vengano assunte come affermazioni categoriche con cui si descrive la vita. Devono servire a criticarne una certa organizzazione sociale, il male connesso con il potere capitalistico spersonalizzante, ma conviene che siano poi indirizzate a contrastare l’apatia e l’indifferenza che sembrano diffondersi sempre più ovunque.
Il passaggio per un saluto alla sua tomba a Lourmarin (Provenza) ha significato l’omaggio a un uomo capace di andare controcorrente, scontrandosi pure conSartre, perché insofferente alla ‘prepotenza’ del pensiero unico, necessariamente fallace proprio per la presunzione di assoluta verità.
La voce di Claudio Voltolini si unisce ad aggiungere un tocco di disincantata poesia:
Assapora.
Il gusto arriva forte
e piano piano
ti lascia le sensazioni
di inconsapevole vanità,
retroscena tra le nuvole
che si accavallano
e nascondono il destino.
Contrastare le solitudini
La pandemia in corso ha generato timori, preoccupazioni, solitudini, insicurezze. Chiusure in sé stessi, senza che ci si renda davvero conto dei guasti apportati alla nostra tensione di esseri sociali. Per taluni, l’essere soli, senza aver imparato a convivere con le radici del proprio essere, facendo compagnia a sé stessi in un dialogo interiore, ha significato lasciarsi andare alla nostalgia acuta, non alla dolce malinconia, alla saudade.
In agguato c’è sempre la depressione: che va combattuta, poiché induce alla fuga da sé e dai piccoli contributi che possiamo apportare al vivere comune.
Ecco: il viaggio nella solitudine della politica, ovvero nella consapevolezza della necessità di far crescere un’altra dimensione della politica, ha evidenziato aspetti di solitudini non scelte e pericolose da cui guardarci.
La caduta della grande civile al-Andalus ci consegna un monito valido ancora oggi a proposito delle costanti frane a cui è soggetta la cultura odierna dei diritti, ciò che di essa abbiamo cercato di far crescere, sostenere e, in taluni casi, salvare: pensiamo solo ai diritti del lavoro e oggi ancor più di ieri, ai diritti umani e alla pace.
Sì, perché sullo sfondo delle nostre parole in Andalusia rumoreggiavano i cannoni in Ucraina, le pesanti manovre russe e l’altrettanto assurda modalità di risposta di Zelenskyj, con l’assenza di qualsivoglia cultura della negoziazione e dell’incontro.
Finché si andrà a sbattere ancora peggio di quanto non stia accadendo.
***
Quasi a risollevare il morale dalla triste costatazione del rumore assordante della guerra, si fa avanti un altro sguardo: quello suggerito da Alessandro Mengoli che con altri stava attendendo la classe partita da Trento per la gita!
La classe in gita muove da Trento. Trolley per quelli/e di città, e borse a spalla per i più scafati/e.
Nello stesso tempo altri, i più indietro negli studi, prendevano lezioni in terra di Spagna. Un riflessivo trascinarsi di bar in bar, con il tempo scandito dalle sigarette rollate e tenute dal Professore tra le dita, scure di nicotina come la sua pelle. Il Prof sostituisce il supplente che di quella storia non ci aveva detto nulla. In due giorni apprendiamo, noi indietro negli studi, dove l’uomo civile ha mosso i primi passi. E cosa ha fatto: scoperte, invenzioni, intuizioni, speculazioni. Ma col Prof, dopo qualche ora già un amico, si parla di tutto. Anche di cosa è ora, quella terra, la culla dell’uomo, meglio, il banco di scuola dell’uomo. Si parla di culture, di frazioni religiose, di rappresentanze politiche, di incerto futuro.
E mentre la classe osservava le terre tra le spazzole dei tergi vetro, noi riflettevamo su quella terra, umidi, tra albondigas al sugo.
La classe si ritrova e si racconta attorno ai tavolini di un bar all’aperto. Le ragazze (pure i ragazzi) si conoscono, ma quella presentazione di tutti, come ad un corso dell’ordine degli ingegneri sull’HACPP, serve a rompere qualche grado di separazione. Si espongono le storie personali, pezzetti di privato. E, vista l’età della classe, con pudore si volge qualche sguardo all’indietro. Per chi misura le parole, per chi soppesa i silenzi, per chi legge gli sguardi, quegli istanti valgono giornate intere.
Micaela prende appunti su un piccolo libricino. Che una volta le ho sottratto per leggerlo: «Sarà un viaggio di ricordi», c’è scritto all’inizio. Ma Micaela non sa che alla fine userà di più il presente, per descrivere gli attimi di contatto con le persone e le variazioni nell’atmosfera della mente. Chissà se la realtà aumentata, di cui tanto si parla, potrà agire sul meteo mentale allo stesso modo. Si dice che già oggi una percentuale significativa di utenti della rete pratica il sesso virtuale. Ma questo alla classe ormai interessa poco.
L’inizio è scoppiettante. La classe vaga per le vie, per i cortili, per le stanze, per i giardini di Siviglia in ordine sparso, diluendosi e addensandosi in gruppo. «Senza alcun principio chimico!» dice Flavio, uno di quelli che studia tanto. «E se fosse una proprietà emergente?» Suggerisce sottovoce Enzo, che non vuole mai apparire.
E invece appare, eccome, quando rientriamo a piedi: ogni argomento che tocca è di estremo interesse. Sarà che lui è allenato e che noi, i due più indietro con gli studi, si sta in perenne affanno, ma lo rincorriamo nella strada e nei pensieri: biologico, biodinamico, complessità. Auff, che fatica. Ma io di fatto l’ho eletto a compagno che mi aiuta a fare i compiti.
Pausa. Fa impressione a me oggi entrare nella cattedrale di Siviglia, e mi figuro cosa potesse trasmettere per un credente 500 anni fa. La sensazione di imponenza si avverte più all’interno di un edificio che all’esterno. Sono le colonne così slanciate ad allontanare ancora di più la volta: la Fede si esercita con la forza e deve incutere timore. In quella dimensione la musica d’organo accompagna un canto che sembra provenire dal cielo.
All’ombra degli archi di Madinat al-Zahra il Vicepreside, che ha organizzato la gita, ci chiama per un’assemblea di classe. Introduce la storia del luogo e della dinastia Omayyade. Segue la lezione di filosofia del Prof. La discussione coinvolge tutti, anche la politica e i suoi rapporti col percorso spirituale dei singoli.
Nella Mezquita la classe si frammenta. Il luogo chiama ad una scoperta personale, intima. Non c’è la maestosità del tempio di Siviglia. Non suscita timore; il mistero richiama l’attenzione nel particolare, negli angoli di prospettiva, nei giochi di luce, negli infiniti cieli.
***
Si è fatto, ormai, il mio cuore
capace di ogni forma:
per le gazzelle è un pascolo,
ed è convento ai monaci cristiani;
Si fa tempio per gli idoli,
e Ka’ba ai pellegrini;
tavola di Torà,
e libro del Corano.
Seguo la religione dell’amore:
in qualunque regione mi conducano
i cammelli d’amore, là si trovano
la mia credenza e la mia religione.
Ibn Al Arabi scriveva questo al tempo dei filosofi Averroè e Maimonide. E credo che basti per raccontarci la Cordoba di quel periodo.
Spente le luci del viaggio d’istruzione, il rappresentante di classe ci costringe a cercare un locale aperto per fare baldoria. Ci spacciamo per delegati Slow Food del basso Tirolo alla scoperta di espressioni del territorio. Ma non la bevono, loro. Al contrario Flavio e il rappresentante se la bevono. Senza l’attenta guida del Vicepreside rischiano di finire in ospedale, intossicati dal metanolo.
Con l’esperienza indimenticabile del pranzo del posteggiatore, sotto l’ombrello aperto, Granada accoglie la classe con tanto di ghiacci d’artificio. L’artificio, quello vero, lo vediamo all’Alhambra: nella veste notturna, rarefatta, i sensi lasciano il segno.
Non so chi abbia iniziato, ma si parla di resilienza. Al Vicepreside non piace: per lui è sintomo di rassegnazione, segno di accettazione. La Iva non è d’accordo: è proprio nel ri-accomodamento della vita alle nuove condizioni che, per un organismo, sta la possibilità di sopravvivere. Questo vale tanto per la psicologia quanto per la biologia. Ma ogni volta che si tenta di trasferire questi ragionamenti alle scienze sociali, si fa casino.
In riva al mare, dopo tanta acqua in una giornata di luce violenta, mangiamo seduti all’aperto. Nel tavolo accanto una famiglia gitana festeggia. Conoscono tutti, nel ristorante sono a casa. E allora la ragazza prende la chitarra e canta. In piedi, accanto, una donna risponde al canto della ragazza con ancora più veemenza. L’uomo di fronte, con i capelli neri raccolti in una coda, approva, compiaciuto, con il battito delle palmas. «Attenzione a battere le mani quando non serve» dice Paola. Si rischia di fare la figura del turista invadente.
Il turismo è sempre invadente. Si va alla ricerca di qualcosa, spesso di una conferma di quello che pensiamo. E al turista si offre quello che cerca, quello che vuole. E così i luoghi si trasformano, le culture si stravolgono. Dopo 400 anni non c’è più Don Chisciotte, con la sua folle, necessaria illusione, c’è il principio di indeterminazione: per conoscere la realtà si rischia di perturbarla. Riflessioni libere che faccio girando il centro di Cordoba dopo le nove di sera. Una città viva di giorno e morta di sera. Una città artificiale.
E poi il tempo di parlare di cante Jondo, di sentire un po’ di quel canto, di leggere di quello che Lorca scrive su quel canto, e poi discutere di Cervantes e del suo doppio Chisciotte&Sancho, di qualche bevuta e qualche mangiata, sempre occasioni di contagio di idee e di altro non gradito, e si torna indietro.
Si torna con qualche cosa in meno: per il Prof il viaggio ha smorzato la tristezza; per Micaela il viaggio lascia gli occhi un po’ più asciutti; per Mauro il viaggio ha tolto un peso, e questa leggerezza gli porterà bene. Per me quello che è stato l’ho già detto. Ma è stato tanto altro che non dico. E gli altri, provassero loro a dirsi cosa è stato.”
***
Certo, il viaggio è stato anche tanto altro. E altri riprenderanno queste note, aggiungendo appunti, riflessioni. E, soprattutto, nutrendo la speranza che infine “la solitudine della politica” possa scoprire luoghi animati, dove pur temendo di essere soli, si possa essere in tanti. Sempre più consci del valore di sguardi reciproci di solidarietà.
Attendiamo che anche Michele ritrovi la traccia delle parole scritte che una sera il computer gli ha sottratto senza restituire: a dimostrazione che la vita ha bisogno sempre di nuovi inizi.
Micaela Bertoldi
17 maggio 2022
1 Francesco Prezzi, Trento nelle guerre d’Europa e d’Italia nella seconda metà del XV secolo. Temi, 2012
2 Don Chisciotte de la Mancia. Introduzione all’opera, XLV-XLVII
A sei mesi dal ciclone che il 29 ottobre ha investito le foreste dolomitiche e carniche, sradicando 14 milioni di alberi, “La Nuova Ecologia” è tornata sulle Alpi orientali. Per raccontare gli effetti del clima che cambia, anche in montagna. E capire se ci stiamo attrezzando per il futuro. Un reportage di Fabio Dessì pubblicato sull’ultimo numero del mensile di Legambiente “La Nuova Ecologia” dedicato al decimo itinerario “Esiti del cambiamento climatico” del “Viaggio nella solitudine della politica”. di Fabio Dessì
Fare il punto sugli effetti della tempesta Vaia non è compito semplice ma è indispensabile una riflessione su questo evento straordinario mai avvenuto prima sulle Alpi orientali e, in particolare, nel territorio dolomitico. La prima considerazione da fare riguarda il significato di evento straordinario. Esso si inserisce, in modo anomalo, in una serie di eventi catastrofici di dimensione locale che normalmente si ripetono sulle Dolomiti come in tutte le altre aree alpine quando vi sono precipitazioni (piovose e nevose) rilevanti. Per questo motivo è necessario ribadire che il territorio montano è pericoloso ed esposto regolarmente ad eventi che producono danni ambientali e ai manufatti delle comunità. La tempesta Vaia si è sviluppata tra il 27 ottobre e il 2 novembre 2018 ha interessato un’area che va da Baltico al Mediterraneo. È stato il 29 ottobre che il vortice depressionario, rinforzato da venti di scirocco e libeccio ha raggiunto la sua massima intensità. Gli effetti sui boschi si sono concentrati nell’area che va dalla provincia di Sondrio alla provincia di Udine ma ha colpito anche aree circoscritte nelle Alpi marittime e a nord del Lago Maggiore. Le intese precipitazioni, superiori a quelle registrate nell’ultima alluvione del 1966, unite alla forza dei venti, hanno prodotto gravi danni agli edifici, alla viabilità, alle reti tecnologiche e alle opere idrauliche su quasi tutti i corsi d’acqua in particolare nel bellunese, in Trentino e in provincia di Udine. Limitandoci a valutare i danni sul patrimonio boschivo essi riguardano 41.491 ha in 473 comuni e hanno prodotto circa 8,7 milioni di metri cubi di legname schiantato, per un valore di circa 440 milioni di euro. La provincia che ha assorbito il danno assoluto maggiore è il Trentino con 18.300 ha devastanti e con 3,3 milioni di m3 di legname schiantato, segue il Veneto con 12.114 ha e 2,5 milioni di m3, l’85% dei quali in provincia di Belluno.
Viaggio nelle terre dell’osso
di Micaela Bertoldi
30 maggio- 3 giugno 2018
Terre alte del Mezzogiorno
– Dove si situano queste terre che ci fanno sentire simili, dato che sappiamo di appartenere alle Terre alte dell’arco alpino?- mi domando.
Andremo alla riscoperta di fratellanze montagnarde, dovute a secoli di vite solitarie in paesi di montagna, assai diversi per forma e condizioni, lingue, usanze e cultura.
– Forse è meglio ripescare nei libri di scuola qualche notizia: per avere consapevolezza delle distanze – nel tempo e nella geografia – in modo da poter entrare in punta di piedi in luoghi degni di ogni reverente attenzione.[1]