Eredità novecentesche…
A Caorso, dove l’eredità del Novecento assume i caratteri macabri di un impianto nucleare che – per quanto in stato di abbandono – non si potrà mai chiudere (e dal quale ci hanno gentilmente allontanati impedendoci anche la più innocua ripresa, quando basta andare su un qualsiasi motore di ricerca per poterlo osservare), come del resto è avvenuto per Chernobyl o Fukushima, ancora in funzione nonostante le immani tragedie sulle cui conseguenze mai sapremo tutta la verità. Torno qui trent’anni dopo quella memorabile catena umana che circondò la centrale e della quale ero fra gli organizzatori. Allora vincemmo, ma “Arturo” (così veniva chiamato – e ancora viene chiamato, ci dice la guardia che ci prende i documenti in prossimità dell’impianto – il reattore di Caorso) è ancora lì. Oppure a Cremona, dove la pesante eredità è quella della Tamoil, l’imponente raffineria vasta quanto la città stessa, che malgrado la chiusura continua nell’avvelenamento da idrocarburi e benzene delle falde acquifere e del fiume Po che le scorre accanto. Alessia Manfredini – che incontriamo – ne ha fatto un tratto distintivo del suo impegno assessorile in Comune, ma il danno appare irreversibile e la multinazionale Tamoil se la caverà con qualche briciola (in primo grado i dirigenti Tamoil sono stati condannati a pagare al Comune di Cremona la cifra praticamente simbolica di un milione di euro) di risarcimento.
Con Emilio Molinari, amico e protagonista di mille battaglie ambientali fra le quali il referendum che nel novembre1987 pose fine all’avventura nucleare italiana con una schiacciante maggioranza del 71,86%, riflettiamo su ciò che rimane sia di quel sito nucleare (e del modello energetico che rappresentava), sia dell’antica identità rurale di questa terra almeno qui irrimediabilmente compromessa. Può sembrare paradossale, dice Emilio, ma a distanza di trent’anni si avverte forse ancora di più quel clima di militarizzazione che il nucleare portava con sé. Ed in effetti avvicinarsi alla zona no limits della centrale ricorda le immagini dei reportage su Priyat e Chernobyl. A ben vedere piuttosto simili al degrado che si avverte nelle tante aree industriali dismesse. Il problema è che da quel paradigma non è facile uscire.