Restituzione incontro di Sant’Anna

(23 aprile 2018) Nella spettacolare cornice dell’antico monastero di Sant’Anna[1] abbiamo cercato di restituire ad un folto gruppo di amici quel che il recente viaggio in Catalunya ci ha consegnato. Lo abbiamo fatto attraverso una serie di immagini/riflessioni che si sommano a quanto con Federico abbiamo già scritto. Metto quindi per esteso gli appunti che ho proposto introducendo la proficua conversazione di sabato scorso, chiedendo ai presenti di fare altrettanto, sviluppando in forma scritta le loro stimolanti considerazioni.

di Michele Nardelli

1. L’omaggio a Walter Benjamin, l’attualità del suo messaggio
Cominciamo dalla fine del nostro viaggio, la visita a Port Bou dove sorge il memoriale in ricordo di Walter Benjamin. Qui, nella notte fra il 26 e il 27 settembre del 1940, il filosofo tedesco stremato dal fuggire infinito dalla persecuzione nazista e devastato dalla decisione del governo franchista di chiudere il suo territorio ai “profughi illegali” decise di porre fine alla sua esistenza. Scrisse un biglietto: «In una situazione senza uscita, non ho altra scelta che farla finita. E la mia vita terminerà (va s’achever) in un paesino dei Pirenei in cui nessuno mi conosce. La prego di trasmettere i miei pensieri al mio amico Adorno, e di spiegargli la situazione nella quale mi sono trovato. Non mi resta abbastanza tempo per scrivere tutte le lettere che avrei voluto scrivere».
Nel promontorio a picco sul Mediterraneo dove l’architetto di origine ebraica Dani Karavan realizzò agli inizi degli anni ’90 un memoriale per nulla retorico e di straordinaria efficacia comunicativa, a pochi passi dal cimitero di Port Bou, i flutti delle onde ci ricordano dell’infinito lottare per la vita. E della straordinaria attualità del messaggio che Benjamin ci ha lasciato, mettendoci di fronte alla critica del progresso con il suo celebre scritto sull’Angelus Novus di Paul Klee[2], alla questione dell’umano nella storia in un tempo che con il “prima noi” sdogana la fine dell’umanesimo, alla condizione dell’apolide fra il diritto di cittadinanza di ogni essere umano e i confini degli stati-nazione all’origine delle grandi tragedie del Novecento.
Ragione quest’ultima che aveva portato Soheila Javaheri e Razi Mohebi – amici cari che hanno partecipato al nostro viaggio – ad immaginare da tempo di concludere proprio qui a Port Bou l’autobiografia della prima parte della vita di un apolide moderno come Razi. In quel bisogno imprescindibile di passare da una condizione di sopravvivenza vegetativa ad una vita che possa definirsi tale, ben rappresentata da quella piccola frontiera ancora oggi militarizzata che ci ferma e che mette Razi per l’ennesima volta di fronte al proprio status di “cittadino del nulla”. Non avremmo potuto immaginare una conclusione del nostro itinerario catalano più paradigmatica.

2. Presenti al nostro tempo
Anche questa immagine, tanto cara ad Hannah Arendt (che a Walter Benjamin era legata da profonda amicizia), ricorre continuamente nel nostro viaggiare. Mentre eravamo a Barcellona venivano arrestati cinque dirigenti dell’ERC (l’Esquierda Repubblicana Catalana, partito nato negli anni trenta durante la seconda repubblica) e nelle ore in cui eravamo a Port Bou veniva fermato in Germania Carles Puigdemont, il presidente catalano deposto dal governo centrale di Madrid.
Non è affatto scontato essere sulle cose, se pensiamo a quanto vuoto sia il confronto politico in questo tempo dove – per dirla con Andrea Zanzotto – si preferisce “abbaiare” piuttosto che interrogarsi e riflettere[3]. Ed eravamo proprio nella città di Zanzotto, a Pieve di Soligo, qualche mese fa a ragionare di federalismo e di autogoverno nel giorno in cui Veneto e Lombardia tenevano il loro referendum sull’autonomia, mentre una sinistra incapace di abitare i processi snobbava quella consultazione destinata a diventare il preambolo della sconfitta del 4 marzo scorso.
E dunque cogliere “i segni del tempo”, abitare i processi evitando lo snobismo di chi giudica piuttosto che interagire, ponendosi lungo le rive di un fiume aspettando che la storia ti dia ragione. Il contrario dell’essere curiosi, aperti senza rancore. Disposti all’ascolto e al cambiamento.
Mi chiedo perché questa disponibilità ad abitare il presente pur nelle sue manifestazioni spesso spurie e contraddittorie non sia della politica nelle sue attuali rappresentazioni. Eppure la crisi in cui versa è così evidente, il che mi fa pensare che fra le sue cause vi sia anche proprio questa aridità.

3. La rabbia in amore
Nel suo editoriale dedicato al nostro viaggio Federico Zappini riprende due immagini catturate durante la permanenza a Barcellona. Quella proposta del vicepresidente catalano (anch’egli deposto e incarcerato) Oriol Junqueros quando esortava la propria gente a “trasformare la rabbia in amore” e quella di uno dei nostri interlocutori, lo scrittore e giornalista di origine basca Alexis Rodriguez Rata, quando ci ha descritto il contesto catalano con la metafora di due pugni serrati che si devono aprire per ritornare ad essere mani operose.
Perché è la rigidità una delle componenti del cortocircuito in cui si sono infilati tanto gli indipendentisti, quanto il governo Rahoy, quanto infine l’Unione Europea. I primi incapaci di darsi delle vie intermedie d’uscita per evitare quel che poi è accaduto e cioè che la richiesta di indipendenza si potesse tradurre nel venir meno della stessa autonomia catalana. Il governo spagnolo nel gestire questo conflitto come si trattasse di una questione giuridica e dunque repressiva. Ed infine l’Unione Europea che altro non ha saputo fare se non allinearsi alle posizioni di Madrid, quasi ad esorcizzare che quanto avviene in Catalunya non potesse avere un effetto di contaminazione in un’Europa dove, malgrado il Novecento e le pulizie etniche, lo spazio statuale e quello nazionale non sono (e c’è da augurarsi mai saranno) sovrapponibili.
Queste due immagini ci parlano insieme della preoccupazione per una rottura profonda nella società catalana, ma anche della ricerca di una compostezza che abbiamo colto nella capitale catalana e della tenuta di un approccio nonviolento che, di fronte alle provocazioni del governo Rahoy e alle scelte repressive della magistratura spagnola, erano tutt’altro che scontate.
Nei giorni della nostra presenza a Barcellona le persone che abbiamo incontrato – pur nella difficoltà che la polarizzazione induce – sono impegnate in un lavoro di ricomposizione davvero meritevole.

4. La potenza del simbolico
All’origine della rigida contrapposizione c’è una componente che possiamo ritrovare ben oltre i confini di quella regione europea, la dimensione simbolica. Non sono solo le bandiere, è con la potenza del carattere evocativo del nazionalismo, con questo tratto dei paradigmi novecenteschi che ancora incombe sul presente e continua a produrre veleni che abbiano a che fare.
Pensiamo a quanto la forza del mito si esprima nel vuoto seguito alla fine di una storia e nella sua mancata elaborazione. Riguarda la Spagna e la Catalunya, ma ne è piena l’Europa se pensiamo ai rituali padani o a quelli esoterici del macabro suicidio del generale croato Prljak che rifiutava la condanna come criminale di guerra emessa a suo carico dalle istituzioni della giustizia internazionale.
Quanto sarebbe stato utile guardare alla vicenda catalana attraverso il caleidoscopio balcanico. E invece non abbiamo imparato sostanzialmente nulla. Tanto che la sovrapposizione del concetto di stato a quello di nazione continua a generare mostri.
Analogamente, le grandi contraddizioni del nostro tempo vengono lette con le lenti della contrapposizione nazionale, riproducendo potenzialmente ovunque il grande imbroglio che ancora incombe sull’Europa di mezzo.

5. Il federalismo
Una delle chiavi per uscire dalla polarizzazione nazionalistica potrebbe essere il federalismo. Questo concetto, prima violentato e poi scomparso nel dibattito politico italiano, è stato il comune denominatore dei vari soggetti che abbiamo incontrato nel nostro viaggio catalano.
Un confronto come quello promosso dall’Associazione dei federalisti di sinistra a cui abbiamo preso parte il 23 marzo non è dato in Italia. E la cosa che forse più mi ha colpito è che delle numerose persone presenti all’auditorium “Calabria” di Barcellona praticamente nessuna aveva votato sì al referendum per l’indipendenza.
Quel federalismo che secondo Joan Botella (che dei federalisti è presidente) rappresenta il sentimento maggioritario fra i catalani. Un federalismo immaginato non solo come progetto istituzionale bensì come proposta di società, quel federalismo sociale di cui ci hanno parlato gli esponenti del Partito Socialista Catalano, come a riportarci nel solco del pensiero di Aldo Capitini e di Silvio Trentin. La cui vicenda abbiamo incontrato sull’isola della Giudecca, a Venezia, durante il nostro viaggio sul limes nordorientale, nella bella mostra in omaggio alla figura di Silvio Trentin (che varrebbe la pena far conoscere più diffusamente) .
Riprendiamoci questo pensiero, questo è il messaggio.

6. Catalunya, Europa
L’Europa, malgrado tutto, può essere ancora un simbolico “altro” da usare bene. O almeno da usare ancora, visto che l’Europa rischia di essere fuori tempo massimo. Perché se, parafrasando Alexis Rodriguez Rata, l’Europa non saprà ascoltare se stessa (oltre la Spagna), la sua proposta evocativa si andrà inevitabilmente sfiorendo.
Dobbiamo purtroppo prendere atto che ancora una volta, di fronte all’ennesimo appuntamento con la storia, le istituzioni europee non hanno saputo esserci, preferendo lavarsene le mani. Senza comprendere che l’Europa degli stati nazione è – come ebbero a scrivere gli autori del Manifesto di Ventotene – la negazione dell’Europa politica[4].
In questo senso, il progetto politico europeo può essere insieme la cornice federalista per trovare una via d’uscita dal conflitto in Catalunya ma anche il terreno sul quale mettere alla prova un’Europa che intenda essere qualcosa di diverso che non la somma degli stati nazionali.

7. Strabici. Il Trentino visto da Barcellona
Guardare il Trentino da lontano, ancora una volta, ci aiuta. Dico il Trentino ma potrei dire qualsiasi altra regione europea. Anche per noi, per una comunità provinciale e regionale alle prese con l’ipotesi di un Terzo Statuto di autonomia, la cornice europea avrebbe dovuto essere l’inedito scenario di una nuova fase del nostro autogoverno.
Il non averlo compreso, l’aver affidato alla dimensione accademica e giuridica il compito di immaginare nuovi assetti senza l’imput di uno scenario del tutto diverso (perché diversa è la realtà con cui oggi ci confrontiamo) è all’origine del fallimento tanto della Consulta trentina che della Convenzione altoatesina – sudtirolese.
Capiamoci. Leggendo nei giorni scorsi i dieci elaborati (quand’anche ancora non definitivi) della Consulta per il Terzo Statuto ho avuto l’impressione di un materiale certamente utile per inquadrare l’attuale assetto autonomistico ed una sua possibile modifica nel quadro dato dell’attuale rapporto tripolare fondato sulla Regione Trentino Alto Adige / Sud Tirol, sulla Provincia Autonoma di Trento e sulla Provincia Autonoma di Bolzano e degli attuali assetti costituzionali. Ma dove sono totalmente assenti nuovi orizzonti nei quali la simmetria non sia più riferita allo Stato italiano (o non solo) bensì all’Unione Europea.
Il rinvio all’Accordo De Gasperi – Gruber può essere utile sotto il profilo del metodo, non certo nel merito. Perché l’intuizione del 1946, uno scenario inedito che era rappresentato dall’ancoraggio internazionale della questione sud tirolese (e dunque dell’autonomia speciale), richiede un analogo coraggio ad osare oltre gli stati nazionali. Se sul piano politico questo osare è riconducibile a quel che andiamo dicendo da mesi, il territorialismo in una declinazione sovranazionale, su quello istituzionale dovrebbe necessariamente avere l’intuizione europea, come ci indica fra gli altri anche l’amico Giorgio Cavallo in un suo recente saggio quando ci parla di una rifondazione repubblicana dell’Europa (cosa ancora diversa dagli Stati Uniti d’Europa).
Spero ci saranno le occasioni per parlarne e che la questione del Terzo Statuto (rammento che quando introducemmo questo tema lo scenario di riferimento non era la riforma costituzionale – poi bocciata – proposta dal Governo Renzi, bensì quello del federalismo europeo) non finisca come una sorta di esercizio a difesa degli assetti autonomistici esistenti.

8. Infine, il valore delle relazioni
Uno dei messaggi che riportiamo dall’itinerario catalano del nostro “Viaggio nella solitudine della politica” è il rivelarsi di relazioni nell’ambito delle quali sembra prendere corpo una “comunità di pensiero” in nulla strutturata ma che, nella reciprocità, ci aiuta a decifrare il nostro tempo.
Da tali relazioni si dipanano opportunità di approfondimento e progettualità che si delineano progressivamente nella sperimentazione sociale e politica. Penso all’idea del Forum delle nuove geografie su cui stiamo lavorando con una serie di soggetti dell’arco alpino allo scopo di definire una nuova grammatica dei territori. Penso alle opportunità di incontro fra gruppi di giovani all’insegna di un’Europa oltre gli stati nazionali emersa proprio attorno al viaggio in Catalunya. Penso, ancora, allo stare sulla soglia che può trasformare il limes in limen di cui ci parla Federico in una recente riflessione nel suo blog .
Del resto è proprio questa l’essenza del nostro viaggio.

Sant’Anna, Sopramonte, 21 aprile 2018

[1]
Scriveva Antonio Pranzelores nel trattato “Storia, tradizioni, arte nel Trentino” (1981): “Quivi esistevano due Monasteri, uno di uomini ed uno di donne, viventi secondo la Regola di S.Agostino”. Le prime notizie su questo luogo risalgono al XII secolo, quando veniva nominato l’eremo di S.Agostino, dedicato a S.Anna, in cui vivevano religiosi dediti alla vita contemplativa. Gia’ nel XIII secolo il Monastero di S.Anna era noto fuori dal territorio circostante, infatti due papi se ne occuparono con due bolle papali. Un’altra vicenda storica legata a S.Anna riguarda Fra’ Dolcino. Nato nel Novarese, verso il 1300 compare in Trentino con la sua dottrina detta Apostolica, che avrebbe voluta abolita la gerarchia ecclesiastica nei conventi, che non voleva differenze tra preti e laici, che non voleva la rinuncia al matrimonio degli ecclesiastici, la libera unione tra uomini e donne senza legame sacramentale, e abolita la proprieta’ personale. Fra’ Dolcino conobbe la nobile e orfana trentina Margherita Frank e quando ella venne mandata in educazione al Monastero di S.Anna, egli ” inganno’ uomini e donne, di modo che per esser vicino a Margherita, vesti’ l’abito degli Umiliati e si fe’ a servire il monastero di S.Anna di Sopramonte. Ivi avvinse a se’ Margherita tanto passionalmente, che quando dovette fuggire, essa di soppiatto all’insaputa dei suoi lo segui’ “.(da “Sopramonte di Trento nella storia”, F.M.Castelli). Dante, che fu a Trento nel 1305, conobbe questa vicenda dell’eresia di Fra’ Dolcino e del suo rapporto con la trentina Margherita, e la riporta nella Divina Commedia, in Inferno XXVIII-55, nella bolgia degli scismatici.
[2]
«C’è un quadro di Klee che s’intitola “Angelus Novus”. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta». Walter Benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti. Einaudi, 1962
[3]
«Se qualcuno mi chiedesse d’esporre la mia poetica, d’impulso risponderei: non abbaiare». Andrea Zanzotto, In questo progresso scorsoio. Garzanti, 2009
[4]
Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani». Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Il Manifesto di Ventotene. Ibs